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Mezzo secolo di pop da Frank Sinatra fino a Ramazzotti
15 Maggio 2017
Da: Paolo Giordano, Diario „Il Giornale”

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Il cantante spagnolo pubblica un cd di duetti e ricorda Battisti: „Con Mogol un grande”

La valigia sul letto, quella di un lungo viaggio non l’ha ancora abbandonata. «Giro sempre il mondo come prima, solo che me la prendo con più calma e faccio sempre tappa nelle mie tre case, a Miami, ai Caraibi e nella mia Spagna».

Julio Iglesias ha la stessa età di Mick Jagger (classe 1943) e probabilmente ha venduto più dischi dei Rolling Stones (oltre trecento milioni di copie). Soprattutto, l’ha fatto con uno stile diverso: quello dell’intrattenitore latino, voce calda, testi d’amore, molto confidential e raramente allusivi: «La bella canzone deve scaldarti il cuore», spiega ora che pubblica un disco di duetti. Si intitola Mexico & Amigos, segue il successo di Mexico ma per lui è un duetto perché «in quarantanove anni di carriera ho cantato con chiunque, da Sinatra fino a Placido Domingo ma non ho mai inciso un disco di duetti», spiega dalla sua casa di Miami. Tra questi duetti, che sono costruiti su canzoni della tradizione messicana, spicca quello con Eros Ramazzotti. «La media vuelta – riassume Iglesias – è un classico di José Alfredo Jimènez che si è impreziosito con la voce di Eros, uno che quando canta è un miracolo».

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E poi, in questo disco che diventerà un super cult in tutto il mondo latino, Iglesias divide il microfono con Thalía, Mario Domm, Sin Bandera, Juan Luis Guerra, Omara Portuondo, il sorprendente Andrés Calamaro e ovviamente Placido Domingo. «Avevo già fatto una cosa del genere nel 1976 ma il disco era andato male perché oggettivamente era brutto», dice lui parlando a metà tra italiano, inglese e spagnolo.

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Per noi italiani, Julio Iglesias è indelebilmente legato a un periodo nel quale, sul finire degli anni 70 e l’inizio degli Ottanta, lo stile Iglesias è diventato un brand tuttora inimitabile. Canzoni come Se mi lasci non vale, Sono un pirata sono un signore e Pensami (tutte scritte con il bravo Gianni Belfiore) lo hanno trasformato in una icona. Bell’uomo (dicono che il suo debole per le donne sia stato una costante della carriera). Bella storia (promettente calciatore, mollò tutto dopo un infortunio per darsi alla canzone). E bella voce perché tutto si può dire di Iglesias tranne che non abbia un timbro caldo e garbato.

Insomma, lo «stile Julio» è stato il simbolo di un periodo. Ma perché non riprovarci? «Perché io amo controllare i miei dischi dall’inizio alla fine e, al momento, non mi sento più di trascorrere un anno in studio di incisione. Muoio alla sola idea…». Però il prossimo anno tornerà in Italia almeno per un concerto, visto che festeggerà il mezzo secolo di carriera: «Fosse per me, farei ancora duecento concerti all’anno, ma è meglio fermarsi. Sono in quel periodo della vita nel quale ti alzi e ti senti un ventenne, ma poi vai a dormire alla sera e credi di avere 250 anni».

In ogni caso, Julio Iglesias in concerto sarà senza dubbio un evento. Per tanti motivi. Perché lui è comunque un signor artista. E perché accenderebbe una enorme quantità di ricordi in tantissime persone che oggi sono nonne o mamme: «Io ho cantato per tutti i papà e le mamme italiane anche perché la metà del mio corpo è italiana. Ma l’ho fatto in un altro periodo».

E ora? «E ora ascolto sempre tanta musica, mi piacciono persino i Pearl Jam che ho ascoltato qualche tempo fa alla cerimonia per l’ingresso nella Hall of Fame. Ma poi torno sempre alle canzoni che mi piacciono, a quelle che mi hanno fatto diventare un cantante». Esatto, sono quelle che immaginate tutti: da Sinistra a Mina a Tony Renis. Ma c’è anche una sorpresa. «Uno dei repertori italiani che mi porto nel cuore è quello di Lucio Battisti con Mogol. Lui un grande, Mogol un autore inimitabile. Le loro canzoni sono ancora parte della mia memoria, come lo sono tutti gli italiani». Quando parla di italiani, Julio Iglesias parla italiano, quasi fosse un processo di identificazione inconsapevole: «Qualche tempo fa ho cantato in Australia e tra il pubblico ho trovato sempre una grande quantità di napoletani, romani, milanesi. Mi parlano di quanto sono stato importante per loro e mi ridanno la grinta che mi davano allora. Ed è per questo che l’Italia per lui è una seconda patria, uno dei posti nel quale festeggerà il mezzo secolo di un viaggio così lungo che non ha ancora disfatto la valigia.